La storia, signori, la storia!
È davanti agli occhi di tutti la condizione, quasi di “blocco”, in cui ci troviamo, oggi, relativamente a molte questioni cruciali.
Nello stesso tempo, una cosa sembra emergere con chiarezza: di fronte alle grandi questioni del nostro tempo, politiche, economiche, ambientali, sociali, culturali, ecc., nessuno sa veramente cosa fare o proporre.
Non lo sanno, né quelli che hanno responsabilità di governo, né quelli che a quei governi si oppongono proponendosi come alternative.
Siamo, per così dire, senza orizzonti, senza alternative proponibili e praticabili. sarebbe il caso di riconoscerlo!
Siamo come intrappolati in un groviglio, in un meccanismo, che non riusciamo a controllare.
Nessuno è in grado di dire se esiste qualche alternativa reale, per esempio, al capitalismo neoliberista.
Nessuno degli oppositori dello status quo sembra in grado di indicare o di pensare una strategia che non sia solo una declamazione di parole d’ordine.
Nessuno è in grado di proporre analisi, fondate su dati, e non solo su emozioni o rivendicazioni.
Nessuno sa, per esempio, come conciliare oggi lo sviluppo con l’eguaglianza.
Nessuno dei leader politici sa, neppure, dove sono i reali luoghi di comando.
Nessuno degli “opinionisti” e presunti “esperti”, che riescono benissimo solo nell’obiettivo di delegittimare i governanti e la politica in generale, sa, in realtà, per il re di quale “Prussia” sta operando.
Si diceva, prima, che sembriamo senza orizzonti e aggrovigliati in qualcosa che non riusciamo a sciogliere, perché non capiamo nemmeno cosa c’è “davvero” da sciogliere. È quello che dice, con altre parole, Peter Sloterdijk, quando scrive che “nel regno dei capitali circolanti, il momentum ha sostituito i motivi. Il compimento prende il posto della legittimazione, i fatti sono divenuti le potenze supreme…..La discussione della situazione si è sostituita alla critica” (P. Sloterdijk).
In realtà, il nostro vero e proprio “peccato originale”, è che ci siamo abituati da tempo ormai (secondo alcuni ricercatori, a partire dagli anni settanta del 900) a muoverci e a ragionare, tutti, solo in un orizzonte di breve termine. È qui che entra in gioco il ruolo della storia: perché “nell’epoca globale in cui siamo entrati, quel che…colpisce è effettivamente la sua struttura ‘post storica’, cioè uno spostamento di peso dalla storia alle notizie…” (P. Sloterdijk).
(Non sarà forse anche per questo che oggi, troppo spesso, il compito di divulgazione storica è assunto, ahimè, dai giornalisti?)
Ci siamo adattati a pensare e progettare in termini di breve termine invece che di lungo termine, e in termini di passato breve invece che di lunga durata. Occorrerebbe recuperare una prospettiva e una metodologia storica, nell’approccio alle questioni cruciali di oggi. Ma per comprendere il presente non basta concentrarci sugli ultimi quaranta o settanta o cento anni della nostra storia; occorrerebbe investigare il “passato lungo”, e portare alla luce quelle strutture ampie, profonde e reticolari che hanno governato e governano i nostri comportamenti individuali e collettivi.
Concentrati, come siamo, solo su ciò che è avvenuto o avviene nelle nostre prossimità e contiguità spaziali e temporali, non riusciamo più a pensare con l’ausilio della storia; e pensare con l’ausilio della storia significa imparare, tutti, anche con l’aiuto di grandi narrazioni (che oggi mancano), a prendere in considerazione lunghissimi tratti della storia stessa. È, quest’ultima, l’unica condizione perché la storia possa diventare veramente uno strumento utile per progettare il nostro futuro. Affinché assuma, come scienza umana critica, una funzione pubblica.
Siamo forse sprofondati in una irreversibile crisi della capacità di sintetizzare il passato e di scrutare il futuro, come sostengono David Armitage e Jo Guldi (Manifesto per la storia, Donzelli)?
Una crisi che, pare, ha contagiato anche gli storici di professione, i quali “hanno lasciato l’arena pubblica, sia a livello nazionale che internazionale, agli economisti e, occasionalmente, ai giuristi e agli scienziati della politica”(Armitage e Guldi).
Sembra infatti che anche gli storici si siano condannati, almeno a partire dagli anni settanta del 900, solo alla microstoria, a “studiare soltanto giardini ben chiusi da mura“, secondo il rimprovero che rivolgeva loro, anni fa, Fernand Braudel, il grande storico e maestro contemporaneo, teorico della “lunga durata”. Invece, ci sarebbe bisogno, oggi, che venissero prodotte opere come Civiltà materiale, economia e capitalismo, o come Il Mediterraneo. Lo spazio e la storia, gli uomini e la tradizione.
L’attenzione prevalente al breve termine e al breve Passato può davvero diventare “l’anticamera del dimenticatoio della storia”. E ciò pregiudicherebbe la nostra capacità di pensare anche il futuro a lungo termine!
Abbiamo bisogno, tutti, di imparare a pensare guardando sia molto avanti che molto indietro nel tempo. Infatti, “per collocare in prospettiva tutte le nostre sfide globali e combattere lo short-termismdella nostra epoca, abbiamo urgente bisogno di quello sguardo che spazia ampiamente e a lungo termine, quello sguardo che solo gli storici possono fornire”(Armitage e Guldi).
Per questo, bisogna smettere di “pensare alla storia…come alla proprietà di una piccola corporazione di colleghi ma come al legittimo patrimonio di milioni di persone” (J.Franklin Jameson). Occorerebbe prendere coscienza del fatto che “siamo intrappolati nella nostra storia, e che il nostro percorso dipende da strutture più ampie che esistevano molto prima che noi esistessimo“(D.Armitage, J.Guldi). Strutture che, sarebbe utile, tutti, non solo gli storici, conoscessero bene, come, e anche di più della nostra storia recente e immediata.
Infine, le urgenti e necessarie conoscenze e discussioni sul lungo termine non andrebbero lasciate soltanto agli studiosi di biologia evolutiva, né agli archeologi, né ai climatologi, né agli economisti. Le storie costruite solo da costoro sono spesso solo “mitologiche” (Armitage e Guldi), e non servono molto, da sole, come si può verificare continuamente, ad aprire un più ampio destinoalle civiltà moderne.
Non sono sufficienti per comprendere né le grandi questioni globali – e glo-cali -, né la posta in gioco oggi, né le implicazioni dei cambiamenti in atto.
Tanto meno sono sufficienti per aiutarci a scegliere e organizzare “futuri molteplici” per le nostre società.
Tanto meno sono sufficienti per aiutarci a scegliere e organizzare “futuri molteplici” per le nostre società.