Story teller nella “noosfera” digitale
Questo nostro mondo si sta trasformando sempre più da “società delle merci“, figlia della rivoluzione industriale iniziata col telaio a vapore alla fine del Settecento, in una società dell’ in-formazione (del mettere “in forma”). Un mondo cioè in cui gli oggetti divengono sempre più virtuali e vengono rappresentati non più dalla loro tangibile concretezza, ma da simboli che viaggiano alla velocità della luce attraverso un tessuto che tende a ricoprire tutto il globo e raggiungere chiunque, qualsiasi sia la sua attesa. Ma tutto questo è forse solo il completamento di quel processo di simbolizzazione del mondo, che ha avuto inizio quando, con la comparsa dell’Homo Sapiens sapiens, si ebbe per la specie umana uno sviluppo straordinario delle capacità simboliche e cognitive.
Solo guardandoci alle spalle e raccontando questa storia “naturale” possiamo comprendere quello che sta accadendo sotto i nostri occhi e capire meglio cosa siamo e in che direzione stiamo andando ( e anche cosa ci “nutre” veramente, se è vero che “la cultura diviene addirittura capace di influenzare l’evoluzione genetica” (L.L. Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura, Codice). L’uomo non è infatti soltanto un produttore e consumatore di oggetti legati alla sua sopravvivenza biologica. Se fosse solo questo, la sua differenza rispetto ad altre specie animali complesse sarebbe modesta. La caratteristica che rende l’uomo unico nel panorama della vita sul nostro pianeta, è quella di essere un creatore di simboli, uno story teller, un narratore; e ovviamente, e in misura ancor maggiore, un consumatore di storie. Noi organizziamo la nostra esperienza e la nostra memoria degli eventi umani principalmente sotto forma di narrazioni: storie, spiegazioni, miti, motivi per fare e non fare. Larry Gross scrive: “La unicità della specie umana non consiste (primariamente) nel fatto che siamo esseri sociali. Centinaia di specie, prima di quella umana, si organizzano in società. L’esistenza sociale ha creato l’umanità, non il contrario. Ciò che ci rende unici è che la cultura è la nostra natura. Ci evolviamo come animali che creano significati, e le storie che ci raccontiamo rappresentano il modo primario con cui costruiamo e conserviamo significati e li condividiamo al di là dei confini di spazio e di tempo”.
La nostra specie è relativamente giovane. E’ possibile ipotizzare pochissimo sui processi che hanno dato ai nostri antenati una prevalenza schiacciante sugli altri discendenti del ceppo originario del genere Homo, già insediati da millenni nel mondo, e che erano divenuti, per parere concorde dei paleoantropologi, sapiens, sia pure arcaici. Ma certamente tra gli elementi di superiorità che hanno consegnato il mondo ai nostri antenati, e fatto sparire gli altri concorrenti, un ruolo decisivo deve essere stato svolto dal possesso di un linguaggio articolato più evoluto rispetto a quello degli altri, di una capacità simbolica e di comunicazione che appariva per la prima volta in modo così completo. E’ il linguaggio che ha consentito ai nostri antenati di vivere efficacemente non solo in modo immediato il presente, ma di proiettarsi anche nel futuro e nel passato; cioè di raccogliere, conservare e tramandare la memoria individuale e di gruppo, e renderla attuale (appunto, ricordare) nel momento dell’emergenza. E al tempo stesso di proiettarsi nel futuro, progettare, costruire strategie e soluzioni per eventi di là da venire (E. A. Havelock, Dike, la nascita della coscienza, Laterza).
Attraverso il linguaggio, infatti, la parola codifica le norme di comportamento, descrive il mondo e lo ipotizza, propone le regole per affrontare le sue trappole, costruisce e conserva conoscenze e interpretazioni, alle origini, sotto forma di favole e miti dal fortissimo contenuto simbolico e normativo. “Tutte le società umane – osserva Gross – hanno risposto alle fondamentali questioni dell’esistenza sotto forma di storie. Facciamo ancora questo raccontando storie ai giovani (il processo di socializzazione e acculturazione attraverso cui ogni generazione diviene parte di una cultura) e ripetendo alcune di queste storie abbastanza spesso per ricordare agli adulti le credenze fondamentali della società” .
E’ un processo di rappresentazione e diffusione della cultura che utilizza narrazioni, favole, miti, credenze religiose, spiegazioni per fondare e distribuire interpretazioni del mondo e veicolare attraverso essi i modelli a cui, in modo consapevole o meno, ogni membro di una data società storica fa riferimento (sia che li accetti o che cerchi di sfidarli) e a cui si attiene.
Da questo punto di vista non hanno molto senso le rigide alternative e contrapposizioni tra “contare” e “raccontare”, tra digitale e analogico, tra numeri e metafore, tra scientifico o elettronico e “narrativo”, tra poesia e matematica, con le quali, molti “saccenti” senza memoria, immaginano di classificare e gerarchizzare le multiformi e indissociabili espressioni della cultura umana. È noto infatti che reperti archeologici, risalenti a circa 40 mila anni fa, recano incisioni che hanno l’aspetto di una rappresentazione numerica, così da spingere antropologi e linguisti a ritenere che l’Homo sapiens sapiens potrebbe addirittura essere “riguardato” anche come Homo mathematicus.
Forse questo fattore spiega in parte anche il carattere “creativo” della cultura. Noi, animali culturali, come ha detto una volta Claude Levi-Strauss siamo anche dei bricoleurs, degli improvvisatori: l’evoluzione culturale infatti, ha scritto Luigi L. Cavalli Sforza, procede spesso per sbalzi.
Oggi stiamo forse vivendo uno di questi “sbalzi”?. È sotto i nostri occhi, infatti, una lenta e inarrestabile trasformazione che riguarda il Web ma anche le nostre menti e la nostra esperienza umana. Il Web sarà sempre più tutt’altra cosa da quello che in parte è ancora attualmente: diventerà cioè un potentissimo “ambiente” multimediale, commerciale, di trasmissione di comando produttivo, cognitivo, intercreativo e assolutamente ipertestuale. Una vera e propria “noosfera digitale” per dirla con Teilhard de Chardin, o “un’entità che ha in sé le possibilità di trasformarsi veramente in una sorta di intellettuale-mente collettiva, in grado di dar voce anche alle emozioni primarie del pianeta” (Lessico post-fordista, Feltrinelli, p.56).
All’inizio del nuovo millennio stiamo sperimentando, quindi, una svolta epocale (o un salto evolutivo?) che ha pochi precedenti nella storia della nostra specie, forse una vera e propria mutazione antropologica, come ha scritto qualcuno. Addirittura una trasformazione dello stesso modo di “essere umani“, se essere uomini e donne significa anche porsi in relazione con gli altri. Importante è il fatto che ciò che sta accadendo comprende e plasma sempre più anche le attese; in altre parole innesca una potente retro-azione che modifica (e modificherà sempre più) il modo stesso di essere e sentirsi uomini, e modella a propria somiglianza il mondo dell’immaginario umano. (vedi D. de Kerckhove Brainframes. Mente, tecnologia, mercato, Baskerville; e C. Shirky, Surplus cognitivo, Codice)
2 commenti
Anonimo
Questo post è denso e suggestivo. L'ho letto e riletto senza intenzione di commentare. Chiudo gli occhi e accolgo un sentimento…di leggerezza. Lo “sbalzo” sarà forse finalmente un progresso di quanto è più lieve e inafferrabile dell'umanità? Un “cum agitare” (cogitare) poetico e poietico, non più solo da una sponda all'altra del mare, ma un vorticare aereo dei fili di Aracne: idee, sentimenti, emozioni. Un salto nella leggerezza, nel cuore della materia stessa. In quell'energia, plasmatrice della materia, che sprigionandosi mette in comunicazione tra loro tutte le cose e le creature dell'universo. Da questa rivoluzione, forse, la sensibilità sarà potenziata. Le storie dalla tastiera voleranno nel web, e non senza il fremito della mano che le ha intrecciate, non senza il palpito di quel cuore e il brillare di quella mente. E così la parola, che è energia trasformata in Logos, non perderà la forma della materia umana, ma pura e lieve si incontrerà e si fonderà in un “ambiente” multimediale, commerciale, di trasmissione di comando produttivo, cognitivo, intercreativo e assolutamente ipertestuale”. Infine, mi piace l'idea di uomo “improvvisatore”. È l'immagine di una possibilità cognitiva nuova, carica dell'integrità dell'uomo: un pensiero istantaneamente emotivo, analitico, intuitivo e ri-creativo. È Forse in questa superiore dimensione estetica che avverrà la metamorfosi antropologica?
Anonimo
Ottimi stimoli nel tuo post per liberarci dalla presunzione che la nostra “umanità” sia il punto d'arrivo irreversibile o insuperabile dell'evoluzione umana. Forse credevano questo anche tutte le tipologie di ominidi che nellla storia sono state soppiantate da altre tipologie. Non ci resta che immergerci nel presente (a patto di riconoscerlo!) con la curiosità del bambino per vedere come andrà a finire.