Il sapore della vita
Con le cose, e con il vivere di ogni giorno, capita come con gli amori. Sempre alla ricerca di “amori speciali”, ma incapaci di accorgerci del volto quotidiano dell’amore, quello che sta lì a guardarci, quello che ci attende, ci chiama, ci interpella, ci invoca, ci chiede di metterci in cammino con lui, di provare a liberare le emozioni senza costringerle in scontati schemi simbolici. Lo stesso accade con tutto ciò (cose, eventi) che accompagna il nostro abitare il mondo. Poi succede che, all’improvviso, qualcosa, “a cominciare dalle cose più piccole e quotidiane” (Nietzsche), conquisti, per casuali o inspiegabili motivi, la scena del nostro vivere, e allora ci pare di assistere a una scoperta impensabile…quasi a un “miracolo”!
Vi è mai capitato? Succede! Succede che d’un tratto qualcosa che ci è familiare, troppo familiare, banalmente familiare, acquisti esistenza e visibilità. E riesca ad offrirci addirittura ragioni impensate e insostituibili del suo “esserci”! E ci sembra di riscoprire la vita! E allora ecco il “miracolo” che modifica il nostro sguardo e il nostro “sentire”!
Succede! E succede anche lì dove parrebbe impensabile! Io mi spiego, così, anche quello che sta accadendo con questo “nuovo” papa Francesco. Sta accadendo soprattutto ai cattolici praticanti, ma non solo. Attraverso questo papa sembra esprimersi una sorta di “lingua materna”: egli sembra parlare il linguaggio delle cose, quello che tutti possono intendere. Anzi sembra parlare delle “cose” di tutti i giorni. Sembra, per questo, un papa “nuovo”, diverso. Ma non lo è, anzi, non lo dovrebbe essere!
E qui è il punto! Come mai? Perché solo adesso? Cosa era successo ai cristiani finora?
Di cosa parlavano? A chi? Con quali parole? A quali luoghi e compiti ritenuti “sublimi” erano prevalentemente intenti? E, se c’era, dov’era per loro, finora, il “sapore” della vita?
Che ne avevano fatto di un messaggio che aveva avuto a che fare, fin dalle sue origini palestinesi, essenzialmente con il senso delle cose e della vita di ogni giorno: con la terra, “questa” terra, con il lago, le colline, il pane, il vino, l’acqua, il sudore dei contadini, l’arroganza e la presunzione dei potenti, l’ansia per un figlio perduto, la gioia per una pesca abbondante, la felicità di una scoperta imprevista, il piacere di condividere la mensa con gli amici, il calore di una festa di paese, la gelida solitudine dell’esclusione, l’incolmabile vuoto di un lutto, il miracolo umano di potersi sempre rialzare per riprendere il cammino, l’umile erba e i colori dei fiori dei campi, il sole di tutti, le tempeste e la possibilità di immaginare una nuova vita?
Un commento
Anonimo
Εὐχαρίστως (eucharìstos), grazie!Torniamo alla lingua materna, a Χάρις (Chàris)! È quasi un soffio “Chàris”! Suona come un sospiro profondo. Arriva all’anima in virtù dell’aspirata “chi” e dell’ “alfa” che la accompagna. “Chàris” come “Grazia”, “Bellezza”, “Rispetto”, “Dono di Ringraziamento”. “Chàris”, la parola che sfiora teneramente le cose vere del mondo