La danza metafora della vita

Parlare di danza in tempi molto difficili?

Possiamo davvero danzare, oggi?

Sì, dovremmo danzare anche sugli abissi, esortava Nietzsche.

Anzi, se è vero che la danza é una metafora della vita, allora è anche una finestra sulla vita. E, quindi, forse potrebbe aiutarci a pensare e a decifrare la condizione umana attuale.

Sembra paradossale. Perché, di norma, non associamo la danza e il danzare alla dimensione del pensiero.

Ma, in fondo, perché non farlo? Perché non pensare alla danza come un’arte che ha qualcosa da dire sulla nostra finitezza, ma anche sulla capacità di attraversarne il confine, indicando universi possibili, visibili e invisibili, “di cui solo il gesto umano potrebbe sfiorare la parete incerta”? (Henri Bergson).

In realtà, come sosteneva Paul Valéry. la danza non è una semplice esecuzione di passi, non è soltanto un esercizio, un divertimento, un’arte ornamentale o un gioco di società.

La danza e il danzare sono “una cosa seria“, (Philosophie de la danse).

Nel senso che, danza e danzare, rappresentano anche un’esplorazione della verità della vita, un movimento circolare “stranamente instabile e stranamente regolata”, che cerca di avvicinarsi a essa pur senza mai raggiungerla pienamente.

Non è un caso, forse, che la danza sia nata all’interno di rituali sacri, fin dalle epoche arcaiche, ed è forse un peccato che gran parte delle confessioni religiose l’abbiano emarginata.

C’è qualcosa nella danza, come nella poesia e nella filosofia, che aspira e spinge instancabilmente verso un altrove indefinito e indefinibile.

Forse, davvero, la danza, come il gioco, è un “girotondo intorno alla verità” (Hugo Rahner).

In questa ottica possiamo capire meglio perché, per Nietzsche, l’ostilità delle chese cristiane alla danza era anche il segno di un’analoga ostilità alla vita.

Da ciò derivava la paradossale dichiarazione, vera sfida di Nietzsche al cristianesimo, che troviamo in Così parlò Zaratustra: .”Io crederei solo a un Dio che sapesse danzare“.

A dire il vero, stando al parere di un biblista come il Cardinale Ravasi, questa frase di Nietzsche non dovrebbe apparire scandalosa, dal momento che la stessa Bibbia (Pro 8,30-31) non ha imbarazzo nel raffigurare la Sapienza divina, alle origini della creazione, come una fanciulla che sta danzando, divertendosi nell’orizzonte di quel mondo che sta fiorendo dalle sue mani.

Nella Gaia scienza, poi, Nietzsche è ancora più radicale, riguardo alla natura del danzare, quando sostiene che “non saprei che cosa lo spirito di un filosofo potrebbe desiderare di più che essere un buon ballerino. La danza, infatti, è il suo ideale e anche la sua arte, perfino, in definitiva, la sua unica religiosità, il suo servizio divino”.

Ma Nietzsche è in buona compagnia, perciò potrebbe risultare intrigante e illuminante per noi ripercorrere i sentieri di filosofi e poeti (o filosofi-poeti) come Mallarmé, Valéry, Rilke, Otto, ma anche Merleau-Ponty e Bergson, i quali, da varie prospettive, ci suggeriscono che danza e poesia hanno qualcosa in comune con la ricerca filosofica.

Non solo, ma anche che “la danza è una forma originaria dell’esserci umano… e al tempo stesso una forma dell’essere in generale… è la verità e al tempo stesso la giustificazione dell’essere stesso del mondo…La danza è la verità di ciò che è, ma, nel modo più immediato, la verità di ciò che vive“, scriveva Walter Otto (Il corpo umano e la danza).

Forse la famosa Isadora Duncan (danzatrice-filosofa), con la sua visione della “danza libera” e della danza come “onda“, voleva esprimere qualcosa del genere.

La danza, allora, come un pedagogo socratico, che “ci insegna, in quanto ai passi, a conoscere un po’ meglio noi stessi?» come sostiene Paul Valéry, nel suo dialogo L’Anima e la Danza?

In quel dialogo, alla domanda se la danzatrice rappresenti o meno qualcosa, Socrate (protagonista insieme alla danzatrice Athikte del dialogo stesso) risponde: «Nessuna cosa … Ma ogni cosaL’amore, come il mare e la vita stessa, e i pensieriNon sentite che essa è l’atto puro delle metamorfosi?».

Ecco la metamorfosi, anzi le metamorfosi: cioè l’abisso sul quale Nietzsche sosteneva che occorre danzare, o l’onda, a cui Isadora Duncan associava la danza, o la fiamma e l’altrove infinito, di cui parlava Paul Valéry, o, magari, la nostra condizione presente, a pensarci bene.

Una modalità, quella dell’essere che danza che potrebbe far apparire l’invisibile, forse.

Ma, quando “la provincia del linguaggio” pare restringersi, mentre cresce il settore del testo decifrato o artificiale; quando tutte le categorie linguistiche sembrano insufficienti, non è poca cosa se vogliamo conservare la capacità di rispondere alla domanda: cosa è il presente.

Amo la storia delle idee, la filosofia e la musica. Mi interessano i linguaggi, la comunicazione, i libri.

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