La felicità rende migliori
“Vuoto è il discorso di quel filosofo che non guarisce nessuna delle passioni dell’anima”.
Il conseguimento di uno stato libero da qualsiasi sofferenza mentale, la tranquillità dell’anima, la capacità di apprezzare i quotidiani piaceri della vita, erano gli obiettivi della filosofia e della pedagogia di Epicuro.
Una sorta di “igiene mentale“, una ecologia dell’anima, è ciò di cui abbiamo veramente bisogno per vivere una vita felice, una vita buona.
Oggi, in modo particolare, ci farebbe bene imparare a viaggiare leggeri, con Epicuro.
Infatti, Epicuro si preoccupava molto di piú di ciò che accade nella nostra mente. La sofferenza mentale, tipo la paura o l’ansia, può essere molto piú debilitante e può influenzare l’intera vita di una persona. Oggi lo capiamo ancora più di allora,
La “filosofia del Giardino” sosteneva che i nostri disturbi emotivi sono primariamente il prodotto del modo in cui vediamo e guardiamo il mondo. E quindi sono il frutto della nostra frammentaria conoscenza della realtà.
E tuttavia, i falsi moralisti di ieri e di oggi, fremono di fronte alle frasi di Epicuro. Come la seguente: “s’onori il bello e le virtù, ed ogni altra cosa simile, se recano piacere [se fanno stare bene], se no salutatemeli tanto“.
Sì. fremono di rabbia quei presunti moralisti per i quali il futuro “mondo nuovo” ha sempre il primato sul mondo quotidiano e sui semplici piaceri di ogni giorno; fremono gli ideologi per i quali lo spirito prevale sempre sul corpo; coloro per i quali la classe, il partito, il movimento, l’etnia, il clan, la nazione, il “popolo” prevalgono sempre sull’individuo e sul vissuto personale. Sì, i falsi e a volte ipocriti moralisti per i quali il bene non si sposa mai con la felicità, il desiderio e il piacere non si sposano mai con il dovere e con la virtù. Sì, i falsi moralisti e i patetici, aggressivi fondamentalisti per i quali stravaganti assoluti sono il ricorrente Moloch a cui sacrificare tutto e tutti.
Sì, proprio quei falsi maestri e stucchevoli savonarola, sempre fecondi in ogni epoca, si sono già ripetutamente vendicati di Epicuro e hanno comprato il suo destino.
La “damnatio memoriae“, la “cancel culture“, le “fake news” e le “macchine del fango” di ogni tipo, infatti, non hanno aspettato l’epoca dei “social” di oggi. per trasformare un filosofo mite e compassionevole, ma anche lucidissimo e innovatore, – tanto da non avere niente da invidiare, per statura intellettuale a un Platone o un Aristotele, – un uomo capace di vivere in armonia con la vita e con la natura, un sagace osservatore dell’animo umano, un amante della conoscenza, della verità e della saggezza, un cantore appassionato dell’amicizia, in un dissoluto, un filosofo da strapazzo, crapulone e frivolo.
Da quello che ci rimane delle sue numerose opere, e da ciò che ci racconta Diogene Laerzio, capiamo che l’intento di Epicuro era quello di rimanere fedele all’uomo a alla terra, di non accettare di separare virtù e felicità, morale e piacere, fisica ed etica, conoscenza e vita, spirito e materia, natura e cultura, uomo e donna, schiavo e libero.
Il fatto è che le sue dottrine sono una continua messa in crisi delle teorie consolatorie prodotte dagli astratti e miopi assolutismi pseudo-spiritualistici.
Sì, tutto questo non gli poteva essere perdonato. Tanto più se a questo aggiungiamo dottrine rivoluzionarie e anticipatrici, come per esempio, quella dell’infinito e dell’infinità dei mondi, quella dell’atomismo o del clinamen.
Tuttavia quello che ci rimane, grazie a Diogene Laerzio ( Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Giovanni Reale) delle molteplici opere di Epicuro (le tre lettere, massime, testarnento) rappresenta un patrimonio irrinunciabile dell’umanità. Ha avuto proprio ragione chi ha scritto che senza la Lettera a Meneceo (ma anche senza quella a Pitocle, come sosteneva Giovanni Reale) l’umanità sarebbe più povera.
“La felicità rende migliori“, scrisse, per riassumere l’ideale di Epicuro, il filosofo Jean Fallot in un prezioso libretto, da rileggere oggi, Il piacere e la morte nella filosofia di Epicuro, Einaudi
E allora, come è stato possibile?
Dopo che la data di nascita di Epicuro è stata celebrata per secoli dopo la sua morte. Era ancora celebrata nel I secolo dopo Cristo, ci dice Plinio il Vecchio
Dopo che si sono moltiplicati monumenti alla sua menoria, in varie città della Grecia, e non solo.
Come à stato possibile, dopo che Epicuro è stato ammirato, seguito e studiato, tra gli altri, da Lucrezio, Virgilio, Filodemo, Orazio…per circa sei secoli e, dopo la pausa medievale, rivalutato nell’umanesimo e nel Rinascimento, da Lorenzo Valla fino all’abate cattolico e filosofo Pierre Gassendi che cercarono di ricreare lo spirito del Giardino di Epicuro?
Chi ha odiato e odia a tal punto l’idea del piacere – soprattutto il piacere degli altri? Chi ritiene di dover appesantire la vita delle persone e caricare sulle spalle degli altri pesi insopportabili?
“Costoro, però, sono fuori senno -scriveva Diogene Laerzio. “Il nostro uomo, infatti, ha sufficienti testimoni della sua insuperabile buona disposizione nei confronti di tutti, sia della patria, che lo onorò con effigi di bronzo, sia degli amici, che erano in così grande numero che potrebbero essere contati neppure sommando gli abitanti di intere città”.
Beh! Oggi, quando siamo diventati tutti esperti di damnatio memoriae, di cancel culture, di fake news e di macchine del fango; oggi, quando vediamo nascere in giro per il mondo reparti di “polizia morale“; oggi, quando sentiamo ringhiare intorno fondamentalismi e fanatismi di ogni genere; oggi, quando si ricominciano a vedere despoti che parlano in nome di Dio; oggi è bene rileggere le pagine di Epicuro.
E non solo quella in cui scriveva che “i veri empi non sono quelli che negano l’esistenza degli dei, ma quelli che attribuiscono agli dei le loro opinioni“, ma soprattutto le altre in cui Epicuro cercava di farci comprendere che “la felicità rende migliori”.