Il gioco serio della filosofia
Talvolta noi umani ci troviamo tra le mani i pezzi delle cose senza riuscire a decifrarne il senso.
Succede anche con la filosofia, quando sempre più spesso ci chiediamo: che ne è di quella tradizione? a che servirà?
Ma, “è già tardi /quando ti svegli /dentro una domanda“: dice al “filosofo” la poetessa Anne Carson, additando in tal modo il segreto e il mistero della “filosofia”, nascosto nelle sue origini e nei suoi primi oassi.
Il punto è che se riuscissimo a liberare dall’oblio i primi passi di ciò che poi si é deciso di chiamare “filosofia”, dovremmo riconoscere che “in principio non fu il logos, ma il disagio”, accompagnato a sua volta da qualche tipo di gioco, alla ricerca di parole per rappresentare e sentire la vita.
Sì, perché è altrettanto essenziale per comprendere i primi passi della “filosofia” e la sua stessa natura, non dimenticare che solo sfidando l’alternativa comune tra giocare (paizein) ed essere seri (spoudazein), possiamo “giocare seriamente” (spoudaiôs paizein), come si esprime Platone per caratterizzare l’attività filosofica, (Pierre Bourdieu, ma anche Giorgio Colli, Pierre Vesperini e Florence Dupont).
Purtroppo, ha ragione Thomas Nagel, i “filosofi” – e ognuno di noi umani, in quanto naturaliter filosofi -“condividono la generale debolezza umana per spiegazioni di ciò che è incomprensibile in termini di ciò che è familiare e ben compreso, anche se del tutto differente”.
Anche per questo i filosofi, e gli esseri umani in generale, scoprono sempre troppo tardi quali sono le domande vere da porre a sé, agli altri e al mondo.
È vero, quando ci sembra di intravvedere la domanda giusta, è, però, già tardi. E quindi anche le nostre presunte risposte arrivano sempre troppo tardi. “È già tardi, quando ti svegli” ci ha appena ricordato Anne Carson. Non siamo, in effetti, mai davvero all’altezza dei tempi. Né se siamo filosofi, né se siamo intellettuali, o politici, o religiosi, e neanche se siamo scienziati.
Non è forse vero che, quelle volte in cui siamo fortunati e arriviamo a un certo grado di consapevolezza, abbiamo tuttavia sempre l’impressione – se ci scopriamo e ci sentiamo filosofi – di non essere davvero noi a porre domande, ma di stare già dentro domande poste chissà da chi o da che cosa?
Ecco, forse il “miracolo” della filosofia si manifesta e serve non per la mera conoscenza, ma per scoprire che, noi umani, prima di saper porre domande siamo già dentro le domande, anzi noi siamo quelli che abitano le domande.
Ma allora forse occorrerebbe aggiustare il tiro. Forse sarebbe necessario ripensare la cosiddetta storia della filosofia, a partire dalle polimorfe origini. Per recuperare quello che abbiamo tralasciato. Per andare oltre un modello di filosofia incapace di prendersi gioco soprattutto di sé stessa.
Oltre un modo di fare filosofia, quindi, non più capace di porre problemi per il gusto di risolverli, e non perché sotto la pressione dell’urgenza. Oltre un modo di fare filosofia non più capace di trattare il linguaggio non come uno strumento, ma come un oggetto di contemplazione, di delizia, di piacere, di gioco.
Anche per questo, la natura e il significato, profondo e sempre originale, del .“fare filosofia”. ci sfuggono sempre. Ancora oggi, siamo come quei tali che si trovano tra le mani i pezzi delle cose senza decifrarne il senso vero. A meno che non ci atteggiamo come quei disperati che presumono di sapere pur non sapendo.
Ansiosi, come siamo stati, e siamo ancora, di inquadrare tutta “la filosofia” in uno schema e in processi storiciben definiti e coerenti, ci priviamo della possibilità di decifrarne le sfuggenti e multiformi origini e i variopinti rivoli in cui si è distribuita.
E in più. oggi sembra sfuggirci non solo l’origine, ma la direzione, e il ruolo stesso della filosofia. Ancora meno siamo capaci di rintracciare ed evidenziare le energie e i giochi sotterranei che da sempre partoriscono la filosofia e la nutrono.
Come ha scritto Giorgio Colli, ci scopriamo non più capaci di scorgere le effusioni di giovinezza e le fioriture di sapienti, sedimentatesi poi nel logos filosofico. Così pure non ci riesce più di comprendere che| anche se quel logos segue la strada della necessità, quella strada ha la sua origine nel gioco e in una sorta di corpo a corpo permanente con l’irrazionale, il mistico, il divino.
In realtà, l’atteggiamento filosofico, in origine fu qualcosa di molto più complesso, mobile e variegato nei contenuti, nei significati, nei metodi, nelle intenzioni, nelle pratiche, e perfino nel nome, da sempre carico di risonanze e dissonanze varie.