Interpretare testi e pensare la Storia
Se mettiamo insieme la difficoltà di interpretare testi scritti, (non solo, ahimè, da parte dei ragazzi!), con la carenza di una filosofia della storia, potremmo forse capire molti incomprensibili comportamenti attuali.
Come spiegare infatti l’intrigo caotico tra rifiuto della scienza, la presunzione di sapere senza specifiche competenze, l’ambiguità sul carattere universale dei diritti umani fondamentali, l’inquietante e pericolosa equidistanza tra regimi liberali e quelli autoritari o dittatoriali?
E che dire di quanti chiedono a popoli interi di rinunciare alla loro libertà di dopo aver denunciato per mesi e anni la “dittatura”, solo per l’obbligo della mascherina e di green pass?
Come giustificare curiose forme di pacifismo che fanno spesso rima con cinismo, e non hanno niente a che vedere con Gandhi?
Come dare senso a tanti cervelli, apparentemente sani e rispettabili, scoppiati fino a lanciare, come proiettili, residui organici in tutte le direzioni, inconsapevoli di mandare all’aria il carattere fondamentale della libertà personale e il futuro delle democrazie?
Potremmo, è vero, dire che, se sono in buona fede, forse non si rendono conto di quello che dicono e che fanno, ma ciò non toglie che le questioni da cui siamo partiti (difficoltà di interpretare tesi e mancanza di una filosofia della storia), pongono problemi che andrebbero investigati.
Qui mi riferisco soprattutto al caos intellettuale e culturale prodotto dall’assenza di una filosofia della storia. Senza dimenticare che anche la difficoltà di interpretare i testi, in senso generale, aggrava il deficit di filosofia della storia. Infatti, tale difficoltà rende quasi impossibile sia una conoscenza non fumettistica della storia, sia la capacità di riflettere complessivamente su di essa. Tutto questo accompagna per forza di cose la scomparsa del desiderio di andare alla ricerca di una visione di futuro che abbia senso.
La mancanza di una filosofia della storia ci rende infatti incapaci, da un lato, di rispondere alle domande inevase della storia passata, e, dall’altro, di comprendere la posizione che la storia stessa chiede a ognuno di noi di assumere.
C erto, in tempi recenti, la filosofia della storia non ha goduto di buona fama, sia perché il radicalismo assoluto, esclusivo, a volte violento, specifico di certi rigidi monoteismi culturali, ha sovente trasformato la filosofia della storia in astratte, artefatte e rigide ideologie, talora con esiti catastrofici, quando si sono coniugate con alcune forme di potere politico (Michel Serres, Darwin , Napoleone e il samaritano, Boringhieri ed.), sia perché parecchi filosofi contemporanei, dopo Hegel, hanno del tutto rinunciato ad arrischiarsi nel campo di una riflessione generale sulla storia umana.
Tuttavia, occorre riconoscere, se consideriamo molte vicende contemporanee, che senza una coerente filosofia della storia è impossibile capire cosa è davvero in gioco nelle fasi storiche critiche, in cui veniamo a trovarci.
Ha ragione Michel Serres, quando osserva che le nostre politiche sono in panne proprio perché non abbiamo più una filosofia della storia.
E aggiunge che, oggi, stiamo assistendo non solo all’estinzione dei diverse correnti
di filosofia della storia della modernità, ma anche, che, a monte di questi crolli, dobbiamo constatare una vera crisi della Ragione stessa, che spesso si trasforma in Sragione, come notava Blanchot.
Invece, non possiamo rinunciare a comporre man mano i “pezzi” del puzzle della storia umana, in modo da imparare sempre meglio a osservare l’intero quadro.
La costruzione di una filosofia della storia mira proprio a questo.
Ma nel corso della storia dell’umanità abbiamo imparato che senza questa proiezione verso orizzonti ideali possibili, verso le utopie, questa forma di deterritorializzaziine, come la chiama Michel Serres, non abbiamo costruito mai niente di bello e di valido.
Ecco perché dopo Gioacchino da Fiore (che, nota Serres, ha per così dire inaugurato la moderna filosofia della storia, anche prima di Vico ed Hegel), pia o atea, spirituale o materialista, precisa, fantasiosa, immaginaria o scientifica, che sia, a nessuna filosofia della storia è mancata sia una forma di partizione o periodizzazione della storia, sia qualche tipo di proiezione nel futuro di un “regno dello spirito“, nella forma di un’utopia pacifica o magari di una società senza classi.
Certo, la filosofia della storia di cui abbiamo bisogno, è una filosofia della storia non ideologica: non è un cronoprogramma, né una camicia di forza imposta agli avvenimenti e ai popoli, né un’osteria dove si preparano “le ricette dell’avvenire“. La storia, come la geografia, non si svolge “sotto i nostri piedi” (Michel Serres).
Questo perché, nota Serres, l’umano non è, piuttosto esso può. Perciò una nuova filosofia della storia in grado di mettere in luce le possibilità del cammino umano e di individuare una direzione, ha come compito prioritario quello di sfuggire al rischio dell’oblio delle vittime e di quei cadaveri sconosciuti che nella storia umana sono stati sacrificati al desiderio di potenza e di gloria di alcuni.
Possiamo riconoscere, ricordare e non abbandonare all’oblio quelle vittime, solo se rileggiamo la storia umana, per così dire, a testa in giù, adottando il punto di vista di quelle vittime.
Ecco perché, se ha un senso una autentica filosofia della storia “esso consiste nel mettersi al posto delle vittime” (Michel Serres, Relier le relié, Le Pommier ed.).
Non è un caso che sulla stesa lunghezza d’onda della denuncia dell’assenza oggi di una filosofia della storia, si muova un altro pensatore, Peter Sloterdijk, proveniente da un diverso riferimento culturale, ma anch’egli, come Serres, pensatore a tutto campo, libero e fine interprete delle tradizioni culturali dalle quali proveniamo.
Peter Sloterdijk ci aiuta così a chiudere il cerchio con una della questioni da cui siamo partiti: l’incapacità di interpretare testi, che, come si è detto, non è un problema solo di parecchi ragazzi, ma purtroppo di moltissimi adulti, pur forniti di titoli di studio.
In effetti, Sloterdijk ritiene che la mancanza di una filosofia della storia sia una importante causa della crisi dell’educazione attuale. Dal momento che la filosofia della storia è sempre stata anche una filosofia della formazione. (Dopo Dio, Cortina ed.)
Il senso dell’educazione stessa, nella modernità, è consistito in realtà nell’idea di accompagnare gli individui in modo tale che in essi emergesse l’idea di desiderare
il proprio stato di maggiorità.
Ecco perché la crisi dell’educazione e della formazione oggi, è in modo precipuo, effetto connesso alla mancanza di una filosofia della storia.
Per questo, costruire la propria esperienza di sé e del mondo senza una cornice di riferimento, senza la possibilità di immaginare una direzione verso orizzonti ideali, siano pure utopici, può diventare un’operazione priva di senso.
Se siamo privi di progetti e utopie. se il mio avvenire è fatto solo di paesaggi contrastanti e contraddittori, se annulliamo il valore e la diversità di ogni individuo appiattendolo, e cancellando quel desiderio di “nobiltà” che ha accompagnato, nella storia, la cura del sé, che senso rimane per l’educazione?
Come potremmo allora non constatare, come Peter Sloterdijk, che gli individui oggi paiono non più “educabili“?
Anche per questo abbiamo ancora bisogno di una nuova filosofia della storia.
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