Una festa secolare. Scommessa sugli umani
Ci sono feste, come il Natale, che andrebbero maneggiate con cura, perché sono depositi di senso nascosto. Il Natale poi, è un fenomeno antropologico e religioso insieme, che richiede approcci ermeneutici diversi, tali da mettere in luce i vari strati di senso, che si sono accumulati nei millenni in questa festa, e che accompagnano, consapevolmente o meno, il modo in cui, oggi, le varie culture e gruppi umani la vivono.
Prima di tutto, possiamo guardare al Natale come un fatto di tradizione e di folklore. E, da questo punto di vista, considerare la sua storia, le memorie ed emozioni consolidate, ad esso connesse. Così come possiamo evidenziarne sia la forte carica socializzante, sia tutte quelle “piccole cose” (F. Rigotti) che l’hanno sempre accompagnata, ieri come oggi. Per esempio, le luminarie, gli addobbi, le vetrine, gli alberi, i presepi, le musiche, i fuochi, i dolci, i regali, i banchetti, in famiglia o tra amici…ecc. Tutte quelle piccole e, apparentemente, insignificanti e inessenziali cose, che molti “Soloni” (o dovremmo dire gli immancabili e noiosi “Savonarola“?), con diverse motivazioni, si affrettano a disprezzare o svalutare come superflue, anche se non si capisce davvero perché. Infatti, se dovessimo eliminare dalla vita umana, individuale e collettiva, tutto ciò che è superfluo, credo rimarrebbe ben poco, e non necessariamente il meglio. In realtà, molto spesso, in ciò che è ritenuto superfluo, sono depositati i codici segreti della nostra vita umana.
Possiamo, inoltre, guardare alla festa del Natale, con un sguardo più in profondità, e decodificarla nella sua valenza simbolica. In questo senso, il Natale è anche la celebrazione della nascita in quanto tale o della rinascita continua della vita. Una valenza molto arcaica, che si riscontra in quasi tutte le civiltà, con minime varianti, sia nei popoli senza scrittura, sia nelle civiltà e nelle religioni più evolute. In tale ottica anche la festa del Natale cristiano – il 25 dicembre – andò ad intrecciarsi, aggiungendo ulteriori sensi, con la festa romana del dio Sole invincibile, il sole che rinasce sempre, così come, con lui, rinasce la vita degli umani e della terra. Anche la festa del dio Sole, come quella precedente dei Saturnali, celebrata nei giorni del solstizio d’inverno, era accompagnata da banchetti, auguri, doni e gioia collettiva.
Quindi il Natale – che nel cristianesimo ricorda la nascita di Gesù di Nazareth – è anche la festa di ogni nato (ecco il ruolo dei bambini in questa festa), e dal momento che ogni nato è un dono, il Natale è anche la festa del dono della vita, e del piacere di vivere insieme, e perciò dello scambio dei doni.
Infine, un approccio ermeneutico al Natale, significativo e interessante soprattutto oggi, può tradursi in una lettura “secolare” della festa. Una lettura, paradossalmente, resa possibile da una interpretazione radicale della narrazione cristiana sul Natale.
Da questo punto di osservazione, diventa fondamentale un concetto essenziale nella narrazione cristiana sul Natale. Si tratta del concetto di incarnazione. Un’idea caratteristica e centrale del cristianesimo. Secondo la quale Dio, che “nessuno ha mai visto”, assume la carne, il tempo e la storia come sue, e diventa visibile unicamente nel volto di un uomo, un “figlio d’uomo”. Questo è l’evento celebrato dal Natale cristiano.
Ora se volessimo tentare una forma di ermeneutica filosofica non dell’evento stesso, ma della narrazione che ha accompagnato quell’evento, e della storia degli effetti che quella narrazione ha prodotto, potremmo giungere a risultati interessanti.
Perché, in fondo, quella narrazione dice che la condizione umana concreta è il luogo in cui Dio fa spazio all’uomo, un Dio che, per questo, quasi si svuota (la kenosi di cui si parla nelle Scritture cristiane). Infatti Dio di cui parla il racconto di Natale è un Dio che si rivela come uomo, e perciò, in questa misura, per così dire, si rivela come quasi come assenza, ha scritto un originale pensatore contemporaneo.
In altre parole, quel racconto dice che la fragilità e non la potenza, l’ordinario e non lo straordinario, l’umano e non il sovrumano, rivelano la incredibile presenza del Dio cristiano.
Alla fine, il racconto cristiano sul Natale è una scommessa azzardata sugli umani!
Ecco perché abbiamo parlato di lettura secolare.
Il processo della secolarizzazione, il cui senso profondo sta nell’autonomia dell’uomo e delle realtà terrene, e il cui avvio siamo soliti collocare all’inizio della modernità, in realtà si può altrettanto verosimilmente riconoscere già annunciato in quel racconto e nella narrazione che accompagna quella festa.