Per una filosofia delle rotatorie
“So bene cosa voglio qui: voglio l’inconcluso”. Parole inaudite queste di Clarice Lispector (Acqua viva), che non abbandonano la mia mente, mentre mi faccio domande sulla strana mania di dover mettere la parola “fine” o di trovare necessariamente un titolo per ogni storia! Ne ho proprio bisogno? Davvero mi serve sempre uno schema in cui imprigionare la vita e le storie? Quelle personali o quelle delle culture, delle credenze, delle esperienze e dei linguaggi?
Spiegare ogni cosa e cercare l’ultima parola ogni volta che penso, che parlo, che agisco? Credo veramente con questo di aver finito di capire? Non penso che questo può valere solo per le istruzioni d’uso del cellulare o della lavatrice?
Ci sono cose che posso capire ma altre che posso solo contemplare, come pensava Iris Murdoch. E allora? Dove sarebbe il problema? Ci sono molte polarità nella realtà di cui non posso fare una sintesi. Devo lasciarle vivere nella multipolarità del reale, e limitarmi a “contemplarle”, così come appaiono!
Devo, ancora, dar ragione a un vecchio pensatore, con cui ho molti debiti, Michel Serres, quando scrive che, nonostante la tradizione filosofica e il pensiero dominante contrappongano divisione e unione, analisi e sintesi, dicendo che chi le confonde si esclude dalla ragione, “la rete le connette, come fanno gli svincoli autostradali o le rotonde delle strade secondarie, i cui nodi a raggiera assemblano e separano” nello stesso tempo (M.Serres, Darwin, Napoleone e il samaritano). Sì, forse in queste strutture recenti della viabilità (le rotatorie hanno cominciato ad apparire non più di una trentina di anni fa) sono presenti delle logiche peculiari. Forse in esse si annunciano, magari vagamente, dei modi diversi di “pensare”. Del resto è sempre accaduto fin dall’avvio dell’era stanziale che nei modi umani di organizzare lo spazio, si celassero anche modalità di pensiero.
Mi occorrono, allora, un altro tipo di ragione e altre idee sulla logica e sulle scienze? Mi serve un altro tipo di guida, nella vita e nella conoscenza?
Devo accettare la molteplicità, la contemporaneità e l’opposizione dei sensi e delle direzioni possibili? Non è forse vero, (come ben sanno anche i grammatici) che spesso il senso delle cose appare, più che con l’andare in linea retta, o con il seguire la naturale direzione, più che con il procedere diritto (“rettitudine”), con l’in-clinazione (Adriana Cavarero), con la flessione e la de-clinazione? O magari con il de-viare, con l’uscire e il ri-entrare?
Al contrario, che strano percorso, quello della modernità: cominciato come ricerca della libertà senza limiti e della liberazione da tutte le gabbie, è finito con il ridurre sempre più le direzioni di ricerca possibili e i campi di indagine. È finito, ipnotizzato dalla razionalità strumentale, con l’alzare sempre nuovi muri, con la riduzione delle strade del pensiero, con l’esclusione di percorsi, e con il moltiplicare i divieti.
Si sono così ridotte le nostre scelte e le nostre opzioni riguardo a ciò che è pensabile e conoscibile, man mano che l’umanità si considerava “adulta” e “moderna”.
Ci siamo ridotti a fare i becchini del pensiero. Abbiamo decretato la morte del mito, poi la morte di Dio, quella delle religioni; in seguito qualcuno ha pensato di annunciare la morte della metafisica, la morte della verità, poi quella del soggetto, e così via.
C’è anche chi ha stabilito di cosa si può parlare e di cosa no, quali questioni si possono legittimamente affrontare sul piano razionale e quali no. Quali parole o idee possono avere cittadinanza e quali sono bandite dal discorso pubblico. Quante risorse del pensiero e dell’esperienza umana si è preteso in questo modo di scartare e buttare al macero!
A dire il vero a me appaiono sempre più ridicoli quegli umani, essi sì sicuramente mortali, che si arrogano il potere di annunciare la morte di idee nate nel corso della storia umana. Come se le idee potessero morire, come se le cosiddette rivoluzioni culturali potessero annullare la storia e il passato, come se le idee, le credenze, le visioni, le attese, le speranze e i desideri umani, nascessero dalle pagine dei libri e non abitassero in modo permanente nelle profondità dell’esperienza.
Ma, i tanti becchini delle idee umane sono in realtà incapaci di leggere e restare fedeli all’esperienza profonda dell’umanità. La loro furia iconoclasta li rende ciechi di fronte a una verità alla quale la storia offre ripetute conferme: non c’è mito più puro dell’idea di un sapere depurato da ogni mito!