Mai più solo crescita!
Forse ha ragione Peter Sloterdijk (Crescita o extraprofitto, Mimesis Edizioni) quando colloca un fattore fondamentale della crisi della politica attuale nella incapacità delle classi dirigenti europee di tradurre in narrazione efficace i bisogni profondi dei popoli europei d’oggi. Insomma siamo di fronte anche a un difetto di parola, di linguaggio: il che significa anche un difetto di Idea, o di Pensiero, come ritiene d’altronde anche Alain Badiou (La vera vita, Ponte alle Grazie).
Questo handicap, linguistico e di pensiero, delle classi dirigenti europee (e si badi bene a non pensare solo alle classi dirigenti al potere, perché questo “vuoto” riguarda in modo particolare, e forse di piú, le classi di opposizione, che avrebbero in misura maggiore l’onere di offrire narrazioni simboliche significative ed efficaci, mentre invece, come si può notare, sanno fermarsi semplicemente alla semplice invettiva, alla sterile indignazione, o alla mera individuazione del “nemico”, dell’indegno, del corrotto. Ancora, qui, con “classi dirigenti” non si devono intendere solo quelle politiche, ma anche quelle intellettuali, in generale), a parere di Sloterdijk, si accompagna ed è aggravato da un oblio del sogno originario da cui è nata la modernità europea con la sua evoluzione culturale ed economica e la sua differenziazione da altre culture.
Insomma siamo di fronte a una pigrizia “linguistica”, che è una pigrizia di pensiero e di immaginazione, ma anche a un difetto di memoria.
Infatti cosa c’era alle origini? Per Sloterdijk, che in questo segue in parte le tesi di Egon Friedell (1878-1938), la storia della moderna civiltà europea comincia dalla “peste nera” del 1348. Quella pandemia è stata come un “diluvio universale batteriologico”. Lì, cominciò quella “spinta storica mondiale” che fece dell’Europa il centro del mondo per mezzo millennio circa, e diede l’avvio a quel vasto processo espansivo che oggi chiamiamo globalizzazione.
“Intorno al 1350, i sopravvissuti dell’arca Europa (in pochi anni fu decimato un terzo della popolazione europea!) avevano visto aprirsi l’inferno e dovettero render conto con una nuova categorizzazione dei fondamenti del loro vivere”. Gli europei sopravvissuti alla peste videro crollare tutte le loro speranze precedenti e “non poterono far altro che aggrapparsi a una tipica e nuova accentuazione della vita prima della morte”. Senza tutto ciò, non si spiega né Boccaccio col suo “famoso e famigerato” Decameron, che, secondo Sloterdijk, è “la Magna Charta dell’autoincoraggiamento europeo”, è “il documento classico del nuovo orientamento europeo sull’esistenza dell’al di qua”, che in modo “inequivocabile attesta il nuovo legame con la vita terrena dell’europeo sopravvissuto alla peste”; ma non si spiegherebbe, sostiene Sloterdijk, neppure la “follia” di Colombo, in cui precipitò, in modo esemplare, “l’esplosivo sogno delirante” del continente europeo.
Quindi, altro che il concetto di “crescita” serve per indicare l’avvio della nuova economia europea. Allora, non bastava riferirsi alla ciclica, naturale e lenta crescita. Il “salto mortale nell’Atlantico” con tutte le implicazioni di ricerca, tecnica e imprenditoria, è spiegabile solo come l’ organizzazione di un “sistema di produzione del desiderio”.
“Dall’impresa europea ‘America’, scrive Sloterdijk, si può dedurre quale e quanta fosse la potenza di sogno e la produzione di desiderio della modernità statu nascenti“.
Oggi, forse, si è rotto qualcosa in quella spinta originaria. Ne sono segnali la depressione dei popoli europei, l’incapacità di narrazioni significative da parte di governanti e oppositori, il parlare a vuoto e la povertà di pensiero e immaginazione delle classi intellettuali.
Mentre, invece, all’interno e dopo questa grave crisi attuale, “come dopo una nuova peste, gli europei, devono di nuovo imparare a chiedersi per che cosa vogliono vivere in futuro” (P. Sloterdijk), incominciando con il riappropriarsi dello spirito di quelle origini.
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