Il Timelapse e l'arte della manutenzione dell'intelligenza
I lettori più giovani di questo blog o i più “tecnologici”, sanno molto bene cos’è il timelapse o time-lapse. Non è il caso qui di fermarsi ad illustrarne i dettagli tecnici, ma molti avranno già fatto esperienza di quella tecnica cinematografica guardando le sigle che aprono famose serie tv, come Il Trono di Spade o House of Cards, o I Borgia, o alcuni documentari naturalistici.
La domanda ora è: che c’entra il time-lapse con la manutenzione dell’intelligenza? Perché scomodare la tecnologia? (Anche se occorre dire che ormai la tecnologia, almeno a partire da Galilei, non è più solo uno strumento del sapere, come un paio di occhiali che possiamo sostituire come vogliamo, ma è essa stessa una modalità di conoscenza che, a sua volta, plasma, per così dire, il nostro cervello e i modi con cui osserviamo e comprendiamo la realtà).
Il punto è che quell’affascinante tecnica – timelapse – ci mette davanti un tipo di tempo che sembra scorrere più velocemente di quello di cui abbiamo esperienza normalmente e quotidianamente. In altre parole, nella tecnica del timelapse, la frequenza di riproduzione di ogni fotogramma è molto superiore a quella di cattura dei fotogrammi stessi. Per cui, questa tecnica rende possibile osservare fenomeni di per sé non visibili a occhio nudo, e tuttavia reali, come lo scorrere delle stagioni, o il movimento delle nuvole e del sole, o il succedersi delle fasi secolari della costruzione di una città o di una società.
Questo ha a che fare con l’intelligenza, o con un tipo di intelligenza di cui, nella nostra società complessa e apparentemente indecifrabile, abbiamo un enorme bisogno.
Infatti, più sopra ho detto che, nel timelapse, il tempo di cattura di un fotogramma è di molto inferiore a quello di riproduzione, ed è questa maggiore frequenza di riproduzione che rende possibile osservare fenomeni reali ma invisibili ad occhio nudo. Tuttavia, se non si usassero complesse tecniche e anche trucchi, insieme a vari dispositivi e software, in tempi diversi, come è richiesto dalla tecnica del timelapse, cioè, se non ricorressimo a un’altra modalità di approccio e a un altro tipo di “intelligenza” di quello che ci circonda, ci sfuggirebbero fenomeni reali ma invisibili che precedono, accompagnano e seguono quel singolo fotogramma che ci attardiamo a catturare e, quasi, a “fermare”.
Insomma, ciò che il timelapse ci dice è che ci occorre un tipo di intelligenza e di approccio alla realtà che ci addestri a guardare i singoli “fotogrammi”, o per uscire dalla metafora, a guardare i singoli fatti, eventi, immagini che abbiamo di fronte, di volta in volta, nella nostra vita e nella nostra esperienza, non come semplici “dati” ma come processi che non si riducono solo a ciò che abbiamo, in quel momento, davanti agli occhi.
Tutta la realtà è processo: cioè insiemi di processi, in atto, interconnessi e sempre “aperti“. Non abbiamo mai a che fare solo con ciò che è reso “presente” come fosse un evento televisivo, né con “dati” che sono “lì fuori”, nelle loro illusoria completezza ed esaustività. Invece noi di solito, riusciamo a “mettere a fuoco” fatti o eventi puntuali, quelli che abbiamo di fronte, o nella mente, in un certo momento, ma non vediamo per nulla ciò che segueo precede, e neppure ci accorgiamo del fatto che tutto quello che abbiamo di fronte è un processo ancora in atto e mai un “dato“.
Perciò, abbiamo bisogno di introdurre nella nostra intelligenza, la velocità, la capacità di dispersione ed espansione nel tempo e nello spazio, il moltiplicarsi di prospettive e di livelli, tutte modalità che ci aiutino a “decostruire” e “fluidificare” ciò che, a prima vista ci appare in tutto il peso della sua ingombrante “presenza” e unicità. Solo così potremo sperare in una reale “intelligenza” delle cose e dei fatti.
Davanti a un mondo che è “processo”, che scorre anche quando sembra che stia fermo o che sia sempre lo stesso, un mondo interconnesso da ogni lato, sul piano delle relazioni, sul piano storico e sul piano spaziale, non basta il compasso e il metro, bisogna farsipiù fluidi, più ambigui, più flessibili (J.-Pierre Vernant). Se vogliamo veramente comprendere ciò che ci è davanti, occorre un altro tipo di intelligenza: forse quella che i greci chiamavano “metis“, dal nome della divinità mitologica greca Meti o Metide. Una divinità femminile, non a caso, che troviamo alle origini, nella fase di formazione del cosmo, e che, secondo Esiodo, è dotata di un’intelligenza superiore a quella degli altri immortali e mortali. Al punto che Zeus stesso ha bisogno di ingoiarla per tenerla dentro di sé, fare sua l’intelligenza di lei, per continuare ad essere il re degli dei. Ma, attenzione, l’intelligenza di Meti non è solo metro e calcolo o strategia e logica, è più di tutto questo, è altro: come narra una leggenda, è astuzia, flessibilità, fluidità, e anche ambiguità e capacità di cambiare, come e quando vuole, di forma e di aspetto, per trasformarsi in altro (L. Ferry).
Ecco ciò di cui avremmo bisogno! Ma, ohimè, a dispetto delle acquisizioni della quantistica, siamo troppo abituati, da una banale alfabetizzazione scientifica, a una visione del mondo fisico, come anche di quello storico, sociale…ecc., come collezione di entità separate, come un edificio fatto di “mattoni”, mentre siamo ancora incapaci di una coerente visione del mondo come rete di relazioni.
Riconosciamolo, concettualmente siamo ancora dei “cavernicoli”: siamo portati a pensare prima le cose con le loro proprietà e dopo i meccanismi e le forze che le collegano. In realtà non abbiamo ancora capito che tutte le proprietà delle cose scaturisconodalle loro relazioni.
Non è che non esistono le parti, non esistono le parti “isolate”, in nessun campo della realtà e della conoscenza: tutto questo esige un altro approccio, un altro modo di guardare e di conoscere (F. Capra). Una modalità flessibile, ambigua, astuta, mutante. Intenta, per così dire, ad inseguire senza sosta la realtà del mondo, delle cose e degli uomini, nelle sue interminabili pieghe,e continue connessioni e trasformazioni.
3 commenti
Anonimo
“Time lapse” per me è il tempo che scivola via. Non c'entra niente, lo so. Ma quel lapse a me ha suggerito “lapsum”, supino del verbo “labor” il cui suono mi piace tantissimo perché è dolce e ha la forma di una scia leggera. Mi sono apparsi i “labentia signa” lucreziani e “l'alpestre rocce, Po, di che tu labi” di Dante. Lo scorrere e trascorrere del tempo, quindi. Tu, autore, insisti sulla nostra incapacità di cogliere le interconnessioni, nel titanico sforzo di sorreggerci. E di questo ringraziamo. Tuttavia è innegabile il dato emergente in questo tempo: una violenta arroganza che ignora la Storia e le storie, un ebbrezza di onnipotenza tecnologica che stordisce e pietrifica.Alle sequenze dei fotogrammi del “time lapse” preferisco il fiume che “labitur” accogliendo innumerevoli affluenti. È una metafora antica e mi si addice di più, a costo di rimanere “cavernicola”. “Vedi l'acqua di rocciaSplende gioiosa, comeSguardo di stella!D'oltre le nubiSpiriti buoni nutronoIl giovinetto fonteTra le rupi del bosco[…]Ruscelli compagnevoliGli si stringono intorno,Mentr'egli il piano invade, Che argenteo splendeE dal piano e dal monteFiumi e torrenti chiamanoIn esultanza […](Goethe)
Anonimo
Cara Lettrice Pina Grazie per le tue importanti e opportune riflessioni che occore tebere sempre presenti. Io non leggerei il timelapse come la tecnologia che ebbra di onnipotenza ignora la stria e le storie, pietrificando tutto. A me pare il contrario, è per questo che la propongo come strada per una nuova intelligenza. Più che pietrificare, fluidifica, e tenta di cogliere insieme, con tecniche varie e complesse, e se vuoi con umiltà, quasi come un fiume, affluenti ed effluenti, sorgenti e foce, ciò che adesso appare e ciò che verrà o è stato. tutto il contrario di quell'arroganza di cui parli! Talmente poco arrogante da mirare a rendere visibile anche aspetti che tendiamo a spostare ai margini della nostra usuale attenzione e considerazione.
Anonimo
ops! occorre tenere….. la storia e le storie