Il meglio del peggio
Succede anche questo, in un tranquillo pomeriggio di fine estate. Succede anche questo, quando, seduti sulla riva di un lago, ci si lascia accarezzare dalla sua arietta piacevole e rilassante. Succede mentre si lasciano i pensieri vagare senza ordine e senza meta, come sarebbe bene fare più spesso, non solo in vacanza.
Ebbene succede di fermarsi sulla seguente idea: provare a scoprire il meglio anche nel peggio. Certo, di questi tempi, a molti appare difficile anche cercare il meglio nel bene, figuriamoci ipotizzare che anche il peggio possa contenere una dimensione migliore! Siamo talmente incupiti dalla sensazione che dovunque si guardi si vedono solo tenebre e degrado che sembriamo schiavi di una strana forma di “pensiero unico“, di un pensiero monodirezionale, incapaci di “pensiero divergente“. Siamo vittime di un handicap di conoscenza e di visione. Non ci riesce più di notare tutti gli aspetti delle cose, sia degli eventi, che delle persone. Ci sfuggono, in pratica, tutti i “dettagli” della realtà.
Eppure la verità è nei dettagli, sia che si tratti di cose o eventi, sia che si tratti di persone, anche se spesso i dettagli sono invisibili, a occhio nudo. E, talora, cambiare punto di osservazione può modificare la nostra percezione e la nostra esperienza del reale. Questo vale anche e soprattutto per la nostra percezione degli individui. Èpossibile immaginare il meglio in una persona classificata negativa? Cercare la presenza di qualcosa di meglio addirittura nel peggiore criminale? Ipotizzare, anche dietro aggressività e violenza, un inconsapevole urlo di dolore?
La domanda giusta, in realtà, qui dovrebbe essere: possiamo evitare di farlo? in ogni caso? se vogliamo continuare a riconoscerci in una comune umanità? Questa domanda è anche alla base di ciò che nelle tradizioni religiose viene chiamato “compassione” (buddismo) o “misericordia” (cristianesimo). Anche se ambedue questi concetti, in fondo, si riferiscono allo stesso atteggiamento: poiché ambedue hanno la loro radice in quel movimento spontaneo, quasi viscerale, che spesso ci “costringe” a “com-muoverci” davanti alla sofferenza di estranei, e, talvolta, a coinvolgerci e farci carico della loro fragilità e della loro sofferenza.
È vero, è molto difficile. Infatti di solito basta poco, perché noi, – cosìrapidi, sbrigativi e assoluti nel giudicare gli altri, a 180 gradi, a partire dal vicino, dal compagno di lavoro o dal partner, fino a persone che conosciamo appena come personalitàpubbliche o altro, – appena notiamo anche solo un aspetto negativoin un individuo siamo portati subito a disconoscere in lui, e in tutto quello che fa, qualunque significato positivo. E a scaricare su di lui passioni negative e rifiuto totale. E, talora, anche, aggressività, che, poi, siamo bravi a sublimare in “giusta indignazione”.
Mentre pensieri di questo genere, vagavano, senza controllo, nella mia mente, in quel piacevole pomeriggio sul lago, mi sono ricordato, quasi a conforto della piega che andavano prendendo i miei pensieri, di un romanzo, di Luca Doninelli, che avevo letto qualche mese prima, L’autore fa raccontare la storia di Gesù di Nazareth dal punto di vista dell’amico-discepolo che poi lo ha tradito e consegnato alla morte. Poche cose sono piùorribili della morte di un innocente provocata dal tradimento di un amico. Eppure l’autore riesce – io non ci avrei mai pensato – ad immaginare che Giuda (e qui credo che Giuda rappresenti tutti i Giuda di ciò che è umano), mentre, nella notte, è incamminato, deciso, insieme a una banda di sgherri, verso il luogo dove è Gesù, senta venir su con forza dal suo intimo, senza per questo essere pentito o cambiare strada, questa invocazione a Dio o a un ipotetico destino: “Fa’ che questa strada non finisca mai!“. A me è parsa una situazione capace di illustrare, in modo suggestivo, come i positivi sentimenti umani di fondo, in questo caso quelli di amicizia e di compassione, nonostante tutto, non muoiono, sono sempre vivi in chiunque, pur se costretti nel fondo dell’animo, e urgono per venire a galla, anche quando non ci riescono. Il meglio del peggio esiste, non è mai annullato, in un essere umano. Non è impensabile immaginare che, tanti, pur incamminati sulla strada del peggio, siano costretti dal “loro meglio“, almeno, ad auspicare in cuor loro: fa’ che questa strada non finisca mai!
Certo, non sempre la ragione e la logica sono in grado di dimostrare questa realtà, ma forse la letteratura o il cuore o la poesia di un lago sanno dircelo con più convinzione!
Un commento
Anonimo
Ho sempre pensato che la raccomandazione del Vangelo “Non giudicare e non sarai giudicato” ha poco a che fare con un atteggiamento moralistico o religioso e molto di più con un atteggiamento “scientifico”. Non giudicare, cioè non esprimere un giudizio definitivo, perché non hai il controllo di tutte le variabili e, quindi, puoi esprimere solo giudizi provvisori, intrinsecamente erronei. Se invece ti arroghi il diritto di giudicare, magari manderai al rogo chi dice che non è il sole a girare intorno alla terra ma finirai tu stesso in una condanna eterna per la tua “ainità” (per usare un termine caro al nosro Bruno). E così pure se ti arroghi il diritto di stilare tabelle di “buoni” e “cattivi”.