Raccontateci delle belle storie!
Mi ha dato da pensare un messaggio raccolto durante una sosta in un “incrocio”del web. Un pensiero condiviso su facebook dalla giovane amica Marianna. Uno di quei “messaggi nella bottiglia” che si trovano nel mare telematico e che ti conducono però verso direzioni inattese.
Non abbiamo bisogno di liste di ciò che è giusto o sbagliato. Abbiamo bisogno di favole, di tempo e di silenzio. “Non devi” è presto dimenticato, “c’era una volta” durerà per sempre.
Era questo il messaggio. Che ha confermato una riflessione che ho sempre fatto, ripensando alle tre domande che, secondo Kant, ogni essere umano, in modo esplicito o meno, si pone. E cioè: che cosa posso sapere? cosa devo fare? cosa possiamo sperare?
Io ho sempre pensato che, in fin dei conti, gli uomini sono in grado da soli, di capire, prima o poi, usando la ragione, cosa siamo capaci di sapere e cosa è giusto fare. Ma la cosa complicataè invece proprio la risposta alla domanda: cosa possiamo sperare?, cosa è possibile sognare? Perché è dalla risposta a questo genere di domande che in fondo dipende il “sapore” della nostra vita!
E in fondo quel pensiero che la giovane amica ha creduto importante condividere, da qualunque parte le sia arrivato, dice proprio questo. Non dateci sempre liste di quello che dobbiamo fare o non fare, perché siamo capaci di trovarle da noi! Non state sempre a dirci “devi” o “non devi”. Piuttosto raccontateci una bella storia, o delle belle storie, se ne siete capaci; se avete delle belle storie da raccontare! Fateci sognare!
Aiutateci a ritrovare quel “silenzio originario” da cui tutto si origina, da cui ogni melodia della vita si genera! Mostrateci, se ne siete capaci, la trama e l’ordito del tempo!
Altrimenti tacete e non ci annoiate con i vostri monotoni elenchi!
In realtà, a rifletterci bene, forse deriva proprio da questa incapacità la crisi di ogni genere di autorità, oggi. Forse deriva da questa incapacità la crisi dell’educazionee degli educatori. Forse deriva da questa incapacità la crisi di partiti, scuole, chiese, istituzioni, associazioni, famiglie. Forse la crisi di credibilità di leaders e ceti dirigenti sta proprio in questo. Tutti si affannano ad attribuirsi compiti di guida, compiti direttivi e normativi, accampando le più diverse motivazioni, ma quasi nessuno sembra più avere una storia da raccontare, in cui mostri di credere per davvero! Al massimo si vestono da “imbonitori” ma il “gioco” alla fine viene sempre scoperto, anche dai più “semplici”!
Nessuno comincia più il proprio discorso con un autentico e sentito “c’era una volta”, ma piuttosto con “tu devi”, “voi dovete”, “non devi”. Non raccontano più nulla che affascini. Che faccia immaginare e sognare. Niente che risvegli il desiderio di quello che avrebbe potuto essere o potrebbe essere! Non hanno una “visione” da condividere! E, se ne hanno una, non mostrano di crederci davvero. Infatti preferiscono concentrarsi su norme, divieti, disposizioni, direttive e compiti da affidare agli altri. Cercano seguaci, non esploratori e cercatori! Preferiscono esecutori obbedienti non compagni di cammino, in un tempo in cui… “l’obbedienza non è più una virtù”!
Il “non devi” è presto dimenticato, diceva il messaggio, solo il “c’era una volta” lascia tracce durature!
2 commenti
Anonimo
Nina e MuetteDistesa sul fieno Blanche guardava stupita la piccola nata. Accoccolata accanto a lei, coi bioccoli del vello ancora umidi, schiudeva appena i tondi occhi acquosi. Blanche era esausta dal parto, ma si sforzò di allungare la zampina in una carezza tenera. L'agnello non si mosse. Aprì il musetto come per belare, ma non un suono si udì. Nina, la figlia del pastore, entrò nel recinto col secchio del latte e si accostò a Blanche. Era un mattino di fine maggio. In mezzo al grano ancora verde occhieggiavano i papaveri, e le pratoline con le campanule tripudiavano tra l'erbetta del prato intorno all'ovile.“Un dono del Maggio!”- esclamò Nina vedendo l'agnello appena nato, e, chinatasi, passò la mano sulla fronte di Blanche che le belò grata. Poi, la giovane donna si chinò e accolse in grembo la neonata, che vi si rannicchiò spalancando gli occhi mansueti. Nina la solleticò alla gola, in attesa di un belato. Ma l'agnello non emise suono, sebbene contraesse e aprisse la boccuccia rosea, come in un sorriso. Ad una ad una tutte le pecorelle del recinto si accostarono intorno a Nina e a Blanche. “Muette! Ti chiamerò Muette, visto che sei muta” – disse Nina. E infatti la piccola non belava. Tuttavia, gli occhietti umidi e tondi annuivano. La ragazza fece scivolare l'agnello accanto alla madre e, terminato il giro della mungitura, uscì dal recinto e si avviò verso casa. La casa del pastore era una solida costruzione di pietra dorata a pianta rettangolare. Il portone di legno era incorniciato da un glicine. Al pianterreno si estendeva un fresco stanzone dai muri bianchi e il pavimento di cotto marrone. Sulla parete di fondo troneggiava il focolare al quale erano accostate due lunghe panche che sembravano riecheggiare le storie narrate nelle lunghe sere dell'inverno. Un odore pungente di latte rappreso si spandeva per la stanza. Nina posò il secchio spumeggiante sul ripiano di marmo addossato alla parete opposta a al focolare e preparò il caglio per il formaggio. Sua madre era morta quando lei era poco più che una bambina, lasciandola sola ad occuparsi della casa, del padre e dei fratelli. Il bianco latte nel secchio le ricordò il candore di Muette. Sentì Nina dentro di sé il dolore di quel belato inespresso, e lo condivise. Abbandonò il lavoro e si avviò verso l'ovile. Spinse adagio il cancelletto ed entrò. Distesa su un fianco Blanche era immobile e Muette con gli occhi umidi la fissava attonita stropicciando di tanto in tanto il musetto sul dorso rigido della madre. Nina, trattenendo il respiro, in punta di piedi si avvicinò alle due pecore. Muette si volse verso di lei e contrasse il muso in un lamento senza suono. Nina si inginocchiò e prese con delicatezza tra le sue mani la testolina di Muette. L'agnellina allora le si affidò e, sollevando le incerte zampette, si rannicchiò presso la ragazza con un belato di gratitudine.
Anonimo
Non è un caso se abbiamo chiamato “evangelo” (= buon annuncio) quello che non è un elenco di comandamenti e divieti ma solo e soprattutto un annuncio di speranza, rivolto in particolare a chi non ha più molte ragioni per sperare. Bello il racconto di Pina, è un annuncio di speranza, speranza di vita che fiorisce sia pure a fatica, ma con caparbietà.