Divagazioni su poteri, dei, idoli e libertà di stampa
Forse ha proprio ragione un’amica scrittrice che fa dire a un personaggio di un suo racconto (di prossima pubblicazione spero!) che il potere è ateo, perché può celebrare solo se stesso.
Questi pensieri mi venivano in mente (naturalmente…per vie traverse, senza apparente relazione con le questioni in campo!) mentre riflettevo sulla protervia e l’arroganza con cui, in queste settimane, questi strani personaggi al governo in Italia, tentano, affannosamente e con tutti i mezzi, di stringere il cappio al collo della libertà di informazione.
Certo qui non si tratta di una spiegazione politica di quello che sta accadendo – di quel tipo di spiegazioni sono piene le analisi e i dibattiti in corso: ed è facile, per chi volesse, seguirne le argomentazioni. Quella invece che tento qui è una spiegazione in un certo senso “antropologica”, con l’obiettivo di offrire un’altra prospettiva, oltre quelle abituali, alla ricerca delle motivazioni di fondo di certi comportamenti, non nuovi nella storia e nelle storie del potere.
Ma perché associare proprio l’ateismo con il potere e il suo attacco alla libertà di stampa e di informazione? Qui occorre prima di tutto intendersi sul concetto di ateismo.
In realtà quello che di solito è descritto come ateismo è, per lo più, quello che qualche pensatore (Leslie Dewart) ha chiamato, alcuni anni fa, ateismo relativo. In altre parole, spesso l’ateismo è piuttosto un rifiuto di certe idee del divino e di Dio, oppure è critica della religione, delle chiese e dei credenti, spesso è vissuto anche come tentativo di emancipazione.
Questo tipo di ateismo, molte volte provocato dagli stessi credenti (come del resto è ammesso anche in un documento del Concilio celebrato dalla chiesa cattolica negli anni ’60 del secolo scorso), potrebbe addirittura svolgere una funzione positiva, costringendo i credenti, da un lato, a purificare il loro credere, dall’altro lato a proporre argomenti ragionevoli a sostegno delle loro immagini e idee di dio e della divinità. Non è vero forse che gli stessi cristiani, nei primissimi periodi della loro storia, erano accusati di ateismo dai sacerdoti e dagli intellettuali dell’impero romano?
Il vero ateismo, invece, il vero rifiuto di qualunque “dio” in quanto tale (qualunque cosa si intenda con la parola “dio”), è piuttosto difficile e raro, anche nella società razionalistica moderna. Questo è il motivo per cui qualcuno ha scritto, paradossalmente, che solo Dio potrebbe essere, a rigor di logica, veramente ateo, sapendo quello che dice e che vuole; e questo è anche il motivo per cui l’ateo Nietzsche rideva dei superficiali o inconsapevoli “negatori di Dio”: infatti molto spesso, quello che si considera “ateismo”, non solo sembra avere, in realtà, un “bersaglio” diverso da Dio, come si diceva sopra, ma si riduce talora a “sostituire” dio con dei surrogati, più o meno plausibili.
Ovviamente, con quanto detto, non si intende, qui, semplificare eccessivamente e negare la realtà storica di un ateismo anche teorico e non solo relativo. Il discorso mira soltanto a porre nella giusta prospettiva la natura profonda dei poteri, nella loro modalità usuale che è sempre quella del “dominio”.
E qui appare, in tutta la sua evidenza paradigmatica, a mio parere, il carattere a-teo del potere e il senso della frase dell’amica scrittrice, citata all’inizio.
E’ bene chiarire anche che qui non si vuole denunciare il carattere ateo del potere magari per auspicarne una versione credente o teistica.
L’obiettivo è diverso: si tratta di evidenziare che il vero a-teismo ha la sua icona nel potere, qualunque “potere” che sia veramente tale. Ed è questo a-teismo, con le sue connaturate tendenze: – a “celebrare” solo se stesso; a non ammettere niente al di sopra e al di là di sé, neppure un dio; a occupare il “posto vuoto” di Dio (cfr. Il posto vuoto di Dio, a cura di L. Muraro e A. Sbrogiò’, Marietti); a pretendere per sé attributi divini come quello di decidere l’essere o il non essere dei fatti, o l’esistenza o la non esistenza delle persone, – a spiegare forse certi comportamenti e certe ossessioni di tutti quelli che esercitano reali poteri. Ed è per arginare queste tendenze che ogni potere, al di là di qualunque discorso su efficienza, efficacia e funzionalità delle organizzazioni, andrebbe sempre “limitato”, “regolato” e posto sotto tutela! Come del resto sosteneva, pur con diverso (ma non tanto!) tipo di argomentazioni, il filosofo teorico della democrazia, Popper.
Molto eloquente ed esemplificativa a tale proposito, anche la storia raccontata nel recente film, del regista Bellocchio, “Vincere”, in cui, in sostanza, si descrive proprio questa insopprimibile esigenza del potere di celebrare solo se stesso decidendo quali sono i fatti e stabilendo l’esistenza o meno delle persone. Questa esigenza naturalmente è più netta quando il potere esaspera se stesso fino al totalitarismo, ma è presente in forma più subdola anche quando il “potere” stringe alleanze con il “sacro” e utilizza Dio o la religione come propria legittimazione.
In realtà qualunque potere che non voglia essere a-teo, nel senso sopra detto, dovrebbe concepirsi come “servizio”, non solo a parole, dovrebbe cioè, in un certo modo, negare se stesso: ma di poteri del genere, non se ne vedono chiare tracce nella storia! Sarà questo il motivo per cui i Vangeli cristiani raccontano che, in fondo, l’unica “tentazione” di Cristo, nettamente respinta, fu quella del “potere”?
E allora vuoi vedere che attraverso il bisogno, – da parte di chi identifica il suo potere politico con l’assenza di controlli e regole, – di mettere il “bavaglio” all’informazione, di censurare spettacoli, cultura e opinioni, di “cancellare” le persone togliendo loro la parola pubblica, di costruire un luccicante e controllato universo virtuale in cui introdurre i cittadini, emerge – al di là degli ordinari e contingenti interessi politici o economici – la insopprimibile tendenza di ogni detentore di potere, di celebrare solo se stesso, di non riconoscere altri al di sopra o al di là di sé, e di poter decidere quali fatti sono reali e quali persone esistono?
Beh!, di fronte a poteri del genere, sarebbe addirittura ragionevole immaginare come necessario un vero Dio, totalmente “altro” (Horkheimer), che ci inviti ad essere a-tei verso quei tanti dei e idoli che continuamente appaiono sulla nostra strada!
Un commento
Anonimo
“Parole, parole…parole!”Quando le mie figlie mi hanno chiesto o chiedono: “Papà mi vuoi bene?” Io non rispondo !Tanto che, ormai, da anni, è diventato un gioco: Esse domandano. Io non rispondo.Perché ?Perché credo che, a determinate domande, che attengono la parte più intima di noi stessi, è impossibile rispondere, senza “ banalizzare “ la risposta se non, anche, la domanda.Chi domanda deve, più che chiederlo, sentire che si è veramente amati.Questa cosa mi è venuta in mente leggendo il post in oggetto, dove ancora una volta , per argomentare, si usano parole “consumate” nei millenni, senza che abbiano risolto alcunché: ATEO, POTERE, CREDO.Infatti penso che la prima cosa che deve fare un credente è quella di non annunciarlo con “parole”.La stessa cosa è necessaria per l’ateo.In quanto al Potere, esso è tale se viene riconosciuto, direi “a priori” dalla maggioranza dei cittadini.Sono essi che , in un certo senso, lo creano, lo accrescono e ne diventano schiavi, alla fine, inconsapevolmente, creando uno specchio in cui vedono se stessi rivestiti di un potere , che li tiene irrimediabilmente separati dal “vetro”.Il POTERE viene alimentato, suo malgrado, come il CREDO e L’ATEISMO.Questo forse è il “terribile” destino a cui è condannata l’umanità, per sopravvivere..Mario Rosario Celotto.