In cosa credono i cristiani? Quale cristianesimo? (1)
Soren Kierkegaard, filosofo danese che ricusava il titolo di cristiano perché riteneva di non esserne degno, riteneva che il Cristianesimo trasformato in “ritualismo”, “religione civile”, “potere”, “morale”, corresse il rischio di diventare inaccessibile agli uomini. In uno dei suoi famosi articoli c’è una descrizione della contraddizione, a tratti grottesca e tuttavia non più consapevole, tra il messaggio di Gesù di Nazareth e le forme storiche della religione cristiana, a partire dal IV secolo. Conviene leggere anche oggi quello che scriveva Kierkegaard nel 1800.
“Nella sontuosa cattedrale, ecco apparire il Reverendissimo e Venerabilissimo predicatore segreto e generale della Corte, l’eletto del grande mondo; appare di fronte a una cerchia scelta di una élite scelta e predica con emozione sul testo scelto da lui stesso: Dio ha scelto chi è umile e disprezzato nel mondo – e nessuno ride!”
È un tema ripreso, alcuni decenni fa, da Jacques Ellul, storico, teologo e sociologo contemporaneo, per il quale la questione fondamentale, ancora oggi, consiste nel fatto che la novità del messaggio di Cristo corre il rischio di essere dimenticata o di non essere più percepita. Secondo Ellul, infatti, oggi il cristianesimo è “indecifrabile” per coloro che non conoscono i testi che ne sono alla base. Ma chi conosce veramente questi testi?
E allora di cosa parliamo quando si parla oggi di comunicazione e annuncio di fede all’uomo contemporaneo, rapporto tra ragione e fede, rapporto tra Chiese e mondo moderno, accettazione o rifiuto del messaggio cristiano, scelta personale di fede, rapporto tra fede e vita, rapporto tra culture e fede? Come si può notare sono in gioco questioni che riguardano l’ermeneutica del cristianesimo e del suo messaggio, il peso politico o la potenza delle organizzazioni ecclesiastiche, ma soprattutto questioni di pertinenza nella comunicazione tra Chiese e cultura contemporanea.
Forse anche per questo si era imposta, nel dibattito teologico, fino a qualche anno fa, l’idea di nuova evangelizzazione prima che fossero considerate prioritarie le esigenze di una religione civile o prima che diventasse quasi un’ossessione, di ecclesiastici e intellettuali “devoti”, dimostrare soprattutto l’utilità del cristianesimo per la cultura occidentale?
Ne vogliamo parlare? È una questione che riguarda tutti, credenti e non credenti.
Grazie dell’input per queste riflessioni a F. Lenoir, Cristo filosofo, Garzanti 2009
2 commenti
Anonimo
Ciao Pino, nel complimentarmi per il tuo blog, per gli spunti di riflessione che andrai nel tempo a presentarci, inserisco un mio “contributo” al tu post “in cosa credono i cristiani? …”Chiaramente, non posso fare a meno di segnalare, una chiave di lettura del testo biblico, da un’ottica psicologica, evidenziando il contributo del tedesco Eugen Drewermann uno dei più originali esponenti della psicologia del profondo.La psicologia del profondo – col suo corredo di simboli, immagini e sogni propri dell’inconscio – viene reintegrata nella lettura biblica e nella riflessione teologica.Si cerca in tal modo di stabilire una relazione tra l’esteriorità del testo biblico e l’interiorità del credente, tra conscio e inconscio, tra sentimento e pensiero, tra angoscia e fiducia., perché “la decisione tra angoscia e fiducia rappresenta il conflitto fondamentale di ogni storia umana”.Drewermann è convinto che “la giusta maniera di adorare Dio consista in una “poeticizzazione” dell’esistenza umana, nella quale i sogni appaiano più veri dei pensieri, le intuizioni più importanti delle riflessioni, la lingua del desiderio più forte della lingua dei fatti”. “Per noi uomini non c’è alcuna forma di verità oltre alla verità del nostro cuore”.Per lui i racconti più significativi della Bibbia non sono storici. Ciò che è più vero, non si lascia esprimere in cronache o dottrine, ma si manifesta in simboli e immagini: il linguaggio religioso della Bibbia “non racconta mai fatti puramente esterni, bensì il significato dei fatti, nella misura in cui essi hanno influenzato la psiche dei contemporanei”.”Gli eventi straordinari di origine divina non sono mai accaduti nella forma immaginifico-leggendaria con cui sono raccontati nella Bibbia, ma solamente in forma di esperienze interiori degli uomini, i quali non hanno potuto far altro che esprimere le proprie esperienze in forma di simbolo e di favola […]. Dio vuole una fede vissuta e non l’accettazione di una dottrina, vuole che lo si segua con impegno e non che si veneri l’antichità….. Dunque basta con gli esegeti storici, con i dogmatici del magistero ecclesiastico, con i predicatori che parlano come dottori della Legge … Il fatto di non comprendere le immagini dell’anima … significa non comprendere l’unica lingua nella quale il divino può comunicarsi efficacemente”.E’ l’inconscio che stabilisce un contatto con la coscienza e fa sì che nelle tradizioni popolari le esperienze con Dio vengano espresse attraverso racconti simbolici, metafore, storie miracolose. Per questo tali tradizioni, come è il caso della Bibbia, sono valide anche per noi, che viviamo nel mondo d’oggi: perché non si tratta di cronache di fatti sprofondati nel passato, ma di storie interiori, che ci coinvolgono in quanto sono anche le nostre: “Una questione storica non è mai una questione religiosa, Dio non è il Dio dei morti, ma dei viventi”.Drewermann Figlio di padre luterano e di madre cattolica, Drewermann dopo aver terminato gli studi liceali in Germania, studia filosofia a Munster, Teologia a Paderborn e Psicoanalisi a Gottingen.Nel 1972 diventa sacerdote a Paderborn. Nello stesso periodo lavora come psicoterapeuta e dal 1979 compie numerosi studi di Storia delle religioni e Dogmatica alla facoltà cattolica di Teologia a Paderborn.Influenzato da Freud e Jung, oltre che dalla recente evoluzione del pensiero analitico, Drewermann reinterpreta radicalmente i testi biblici, servendosi come criteri ermeneutici della psicologia del profondo, della poesia e dei grandi archetipi che si ritrovano in tutte le culture e le religioni. Il suo metodo interpretativo viene esposto con due volumi pubblicati tra il 1985-86 (Psicologia del profondo ed esegesi), il primo dedicato all’Antico Testamento, il secondo al Nuovo testamento. A presto, felice romano
Anonimo
Caro Pino, sei stato uno dei miei maestri nell'aiutarmi a chiarirmi le idee (o cercare di chiarirmele) sul cristianesimo che credevo di praticare da giovane. All'inizio, per liberarlo dal rischio di una sovrastruttura rituale, ho cercato di radicarlo in a scelta dalla parte dei poveri e degli oppressi, finendo con l'assimilarlo a una cultura politica rivoluzionaria o, meglio, a riconoscerlo come legittimazione di una tale cultura. Così, a un certo punto, mi sono trovato ad essere un cristiano della diaspora (cristiano senza chiesa e, ben presto, comunista senza partito). Oggi, quando mi sorprendo a pensare alle ragioni di un'eventuale scelta cristiana, credo sempre si più che il cristianesimo abbia introdotto nella storia la categoria dell'alterità (che le cose, cioè, possono andare diversamente da come siamo abituati: che dio può morire, che dalla morte si può risorgere ecc.). Di quest'alterità, come apertura su un futuro non già scritto nel passato e nel presente, l'umanità ha bisogno soprattutto oggi, quando lo straordinario sviluppo tecnologico ci pone la domanda inquietante: che cosa farà la tecnica di noi?